L’Haritaki è una pianta molto venerata nel subcontinente indiano e si narra che abbia origine divina.
Questo non deve stupire: l’adorazione delle piante è molto comune in India, come abbiamo già visto in un altro articolo dedicato all’Amla.
Spesso queste sono considerate la residenza delle divinità, oppure sono utilizzate per venerare un dio o una dea in particolare, essendo legate a degli episodi mitologici che hanno per protagonista le divinità in questione.
L’origine divina nell’induismo
Nei testi induisti, varie sono i miti che narrano la nascita di questa pianta. Tutte concordano nell’attribuire all’Haritaki un’origine divina, anche se le versioni del mito cambiano leggermente.
La più famosa versione racconta che mentre Indra, il signore del paradiso vedico, stava bevendo una coppa di Amrita, il nettare dell’immortalità, una goccia cadde dal cielo. In quel punto nacquero sette tipi di pianta di Haritaki. Infatti la pianta ha sette varietà.
In un’altra versione, la goccia di Haritaki cadde mentre Indra lottava per salvare il nettare di immortalità dai demoni (asura) che volevano rubarlo.
In altre versioni ancora, le gocce cadute furono sette, il che spiegherebbe le sette varietà della pianta, e non caddero dalla bocca del dio Indra ma da quella di Vishnu (Viṣṇu) o di Brahma.
Alcuni degli appellativi della pianta si accordano con questi miti.
Haritaki, infatti, viene anche chiamata “Shakrasrishta” (Śakrasṛṣṭā), ossia “creata (sṛṣṭa) da Indra (śakra)”.
Un altro nome per indicare la pianta è “sudhā“, che significa nettare. Questo termine fa riferimento al nettare dell’immortalità, estendendo alla pianta, molto benefica per la salute, le qualità della mitologica Amrita che rende immortali.

Nel buddismo e nella medicina tibetana
Nella tradizione buddista, il Buddha ricevette il frutto di Haritaki da Indra immediatamente dopo aver raggiunto l’illuminazione e, avendo digiunato a lungo, mangiò il frutto per predisporsi a riprendere a mangiare.
In Tibet l’Haritaki si chiama Harura e viene definita “Il re delle medicine”. Infatti, ricopre molta importanza nella medicina tradizionale tibetana ed è considerata una panacea.
La rappresentazione iconografica del Buddha blu della medicina (Bhaiṣajyaguru) lo ritrae con un frutto o un rametto di Haritaki in una mano e una ciotola contenente l’Amrita, il nettare dell’immortalità, nell’altra.

L’importanza dell’Haritaki nella medicina tradizionale
I nomi sanscriti dell’Haritaki e l’etimologia ne sottolineano l’importanza per la medicina tradizionale indiana.
La parola Haritaki deriva da Hara, un epiteto di Shiva (Śiva). Si pensa che sia stato attribuito alla pianta per via del fatto che cresce sull’Himalaya, luogo di residenza di Shiva. Per questo la pianta è sacra proprio a questo dio ed utilizzata per adorarlo.
La radice verbale sanscrita √hr da cui deriva la parola Haritaki significa “che porta via” e può far riferimento al fatto che l’uso medicinale della pianta porta via le malattie. Anche nel nome tibetano Harura si mantiene questa radice.
Haritaki viene anche chiamata “pranada”, ossia “che dà la vita” e la sua utilità viene paragonata a quella di una madre, che non danneggia mai i suoi figli, ma può solo far loro del bene.
In Āyurveda è una pianta molto utilizzata per curare diversi disturbi. È una delle tre componenti della Triphala, l’antico rimedio polierbale ayurvedico, ad azione tridoshica (riequilibrante per i tre Dosha – doṣa) e rasāyana (promotrice della giovinezza).
Non stupisce quindi che una pianta così apprezzata dalla medicina tradizionale indiana venga venerata e considerata di origine divina, dunque un dono degli dèi all’umanità.
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Se vuoi scoprire le proprietà cosmetiche dell’Haritaki, leggi l’apposita voce nel nostro Glossario.